L’arca di San Domenico

L'arca di san DomenicoTrionfo gotico di sculture e di rilievi marmorei che raffigurano gli episodi salienti della vita di san Domenico e testimonianza viva della storia dell’arte bolognese, è l’Arca progettata per contenere le spoglie del santo. Capolavoro artistico di grandi maestri scultori come Nicola Pisano, Alfonso Lombardi, Niccolò dell’Arca e Michelangelo che hanno avuto la capacità di plasmare il marmo in modo che esso potesse raccontare continuamente ai posteri una storia incantevole quanto importante. Ora proverò ad illustrarvela.

I rilievi sul fronte del sarcofago raffigurano due miracoli compiuti dal padre domenicano: San Domenico che resuscita il giovane Napoleone Orsini caduto da cavallo, e il santo stesso che rende alla madre il fanciullo resuscitato e La prova del fuoco, che respinge il libro sacro e brucia i libri degli eretici Albiginesi.

Nei rilievi posteriori le scene rappresentate sono alcuni momenti fondamentali della vita spirituale del santo. Da sinistra San Domenico ai piedi di Innocenzo III chiede l’approvazione della Regola; al centro è la figura del santo che sorregge la Chiesa cadente, mentre in alto vi è il Papa che, sdraiato sul suo letto, sogna l’episodio.A destra Il Papa approva l’ordine dei Predicatori e benedice il santo. Queste tre scene sono rappresentate in un unico riquadro come fossero fotogrammi di un film in proiezione. Nell’altro rilievo posteriore dell’Arca, partendo da sinistra, vediamo Beato Reginaldo che fa voto di religione nelle mani di San Domenico: una composizione di tre figure saldamente correlata l’una alle altre che formano un tutto inscrivibile in un’ovale perfetto.

Un profondo solco divide questa scena da quella seguente che raffigura ancora l’avvenimento di un miracolo, cioè il Beato Reginaldo che sviene, sorpreso da febbre violenta, fra le braccia di un religioso. La scena più a destra rappresenta il Beato Reginaldo miracolosamente guarito dalla Vergine che gli appare accompagnata da due sante e gli mostra l’abito domenicano.

Nei rilievi di questo lato non si può fare a meno di notare un differente modo di comporre la scena e un diverso stile di esecuzione. Tutto ciò si può spiegare solo supponendo che gli esecutori dei rilievi posteriori non siano più gli stessi di quelli anteriori. In effetti lo storico dell’arte Cesare Gnudi deduce dall’analisi stilistica che per la parte retrostante dell’Arca le sculture furono interamente ideate ed eseguite dallo scultore Arnolfo di Cambio, che si trovava costretto a dar prova della sua destrezza scultorea solo per piccoli interventi nei rilievi sul fronte del sarcofago. Infatti nel 1266 Arnolfo rimase solo a Bologna con l’incarico di portare a termine la decorazione dell’Arca, aiutato in gran parte da fra’ Guglielmo, mentre il maestro Nicola Pisano si recò a Siena per tener fede al contratto stipulato con i frati ed eseguire il famoso pulpito. Ora quindi Arnolfo aveva la possibilità di esprimersi liberamente, organizzando lo spazio d’azione come meglio credeva e creando scene che meglio aderivano al suo modo di vedere questo tipo di arte, senza dover più sottostare alle indicazioni del maestro e dimostrando appieno di cosa fosse capace. Osservando questi due lavori si nota immediatamente che il numero dei personaggi è notevolmente diminuito e che la scena si compone di più periodi, i quali compongono una storia; inoltre i volumi risultano ben distribuiti e non più costretti sullo sfondo della scena.

Nelle decorazioni dei due laterali, uno dei rilievi raffigura l’episodio che narra di come san Domenico venne investito della responsabilità di diffondere la parola di Dio: sulla sinistra vediamo i santi Pietro e Paolo che consegnano il libro delle sacre scritture ed il bastone del comando a Domenico; sulla destra vi è Domenico che consegna il libro ai suoi confratelli, i quali avrebbero dovuto continuare la sua missione.

Nel rilievo opposto vediamo i frati seduti intorno ad un tavolo e due giovinetti che consegnano il pane della Provvidenza a Domenico: “Fra Buonviso narrò che al tempo in cui era economo del convento di Bologna, e quindi spettava a lui procurare il necessario ai frati, un giorno di digiuno venne a mancare il pane in refettorio. Fra Domenico, come al solito, fece cenno perché fosse servito il pane in tavola; al che il teste lo avvertì che non ce n’era. Allora fra Domenico, raggiante in viso, alzando le mani lodò e benedisse il Signore. In quel medesimo istante entrarono due angeli portando due canestri, uno di pane e l’altro di fichi secchi. Il teste affermò di sapere ciò perché si trovava presente”.

 

Sul coronamento dell’Arca sono poste otto statuette che rappresentano alcuni tra i santi protettori della città di Bologna. Le sculture a tutto tondo sono in parte opera di Niccolò dell’Arca: san Francesco, san Domenico e san Floriano. Nel san Domenico i particolari più vivi si trovano nel libro, nelle mani e nel giglio che si appoggia al petto di Domenico, nei quali vedo preannunciati i caratteri di quell’arte ricca di realismo che troveremo poi nel busto in terracotta del santo custodito presso il museo di San Domenico.

Il san Floriano indossa abiti estremamente eleganti, che lo fanno apparire come appartenente al mondo delle corti del gotico internazionale e sulle sue spalle cade un ampio e voluminoso mantello che lo avvolge morbidamente. Il volto del santo è fortemente caratterizzato e presenta un’espressione mesta e pensierosa. Egli tiene con entrambe le mani la spada, che funge più da bastone da passeggio piuttosto che da arma per combattere. Guardando questa statua non si ha infatti l’impressione di essere di fronte ad un santo soldato, ma semplicemente ad un nobiluomo di corte.

Due di queste statue sono state scolpite da Michelangelo Buonarroti durante il suo soggiorno bolognese avvenuto nel 1495, ovvero il san Petronio ed il san Procolo insieme ad un angelo reggi candelabro.

Padre Vincenzo Marchese, nel suo testo del 1878, ci racconta che la statua raffigurante san Procolo, a causa di un incidente, nel 1572 cadde e fu poi addirittura sostituita da una copia eseguita dal Clemente. Fu forse a causa di tale caduta che san Procolo perse la sua scure, che probabilmente reggeva con la mano destra. Difficile è non trovare una certa somiglianza tra la fiera e burbera figura del santo guerriero bolognese e la gigantesca statua del biblico soldato che Michelangelo scolpirà pochissimi anni dopo: il famoso David.

La cimasa dell’Arca eseguita da Niccolò e dalla sua scuola, fu terminata nel 1473; il domenicano Vincenzo Marchese sostiene che lo scultore lavorò a quest’opera per quattro anni.

Nel 1532 il governo cittadino ordinò ad Alfonso Lombardi di scolpire il gradino che separa il sarcofago dall’altare dell’Arca di San Domenico. Sulla sinistra della predella l’artista scolpì tre episodi dell’infanzia e della giovinezza del santo, che rappresentano la nascita, la penitenza raffigurata con Domenico che, ancora bambino lascia il suo morbido ed accogliente letto per dormire a terra, “…come chi ha in orrore le delicatezze della carne…” e la carità che il santo dimostrò vendendo le proprie pergamene di studente per sfamare, con i soldi ricavati, i poveri.

Al centro vediamo invece realizzata l’Adorazione dei Magi, soggetto opportuno, scrive il Supino, a ricordare la devozione della confraternita al sacro nome di Gesù.

Sull’estrema destra è la Gloria di san Domenico nella visione raccontata da fra Guala. Alla morte di Domenico il cielo improvvisamente si aprì in due ed attraverso la spaccatura che si formò, scese una candida scala sorretta da Cristo e dalla Vergine Maria. Sull’estremità inferiore della scala il frate vide un uomo seduto che sembrava far parte dell’ordine dei domenicani. Poco alla volta Gesù e la Madonna tirarono verso di loro questa scala speciale finché l’uomo non li raggiunse nell’alto dei cieli. Ad assistere alla miracolosa scena, sulla predella non compare solo fra Guala ma a sinistra abbiamo un folto numero di confratelli e sulla destra la scena è gremita di fedeli laici. Tutti sono estasiati da ciò che stanno vedendo e si prostrano umilmente in ginocchio davanti ad un tale miracolo.

L’Arca è custodita all’interno della cappella appositamente eretta, la Cappella dell’Arca appunto, all’interno dell’imperdibile Chiesa di San Domenico, in piazza San Domenico.

a cura di Elisa Melchiorri

Dove si trova l’arca di San Domenico:

Andar per giardini e terrazze: angoli segreti di Bologna

diverdeinverdelogoBologna come appare, Bologna segreta. Non solo torrenti e fiumi celati, scorci meravigliosi e piccoli angoli incontaminati, ma anche giardini e terrazzi che rimangono nascosti allo sguardo dei passanti da cancelli, portoni, inferriate e mura. Verrano svelati alla curiosità dei cittadini e dei viaggiatori il week end prossimo venturo, da venerdì 23 a domenica 25 maggio, con una fitta rete di incontri, punti di partenza, giardini aperti, laboratori e sorprese.

Perchè Bologna nasconde al suo interno anche questo: giardini secolari, giardini curiosi, giardini intimi, giardini-orti, e per un fine settimana all’anno, questi giardini segreti (alcuni meno segreti ma sempre sconosciuti) aprono le loro porte a chi approfitterà dell’occasione con la manifestazione Diverdeinverde.

Tutte le informazioni su:

Diverdeinverde – Giardini aperti a Bologna

 

Mostra: L’ Ottocento a Bologna nelle collezioni del MAMbo e della Pinacoteca Nazionale

Le raccolte ottocentesche a BolognaProseguendo la panoramica sulla pittura bolognese, vorrei accompagnarvi oggi alla scoperta della mostra temporanea “L’Ottocento a Bologna nelle collezioni del MAMbo e della Pinacoteca Nazionale”, credo proposta in concomitanza all’evento su Vermeer così da consentire ai tanti visitatori di scoprire la variegata situazione culturale felsinea.
L’esposizione permette la fruizione di opere appartenenti alle raccolte statali e civiche per la maggior parte presentate per la prima volta al pubblico, testimonianza dell’espressione culturale dell’Ottocento a Bologna.
L’impressione è quella di accedere realmente ai depositi del museo: si percorre lo scalone d’accesso in senso contrario e se ne scende una rampa, così da arrivare di fronte a quel cancello curiosamente sempre sbarrato che cela sale condannate ad una perenne oscurità.
Ma questa volta le luci sono accese e l’ingresso è consentito. Sceso qualche altro gradino ci si sente avvolti ed osservati dagli 89 dipinti ordinatamente collocati sulle ampie pareti che non aspettano altro che essere ammirati dopo i molti anni di oblio.
Così veniamo catapultati in un intervallo temporale che va dalla fine del XVIII agli inizi del XX secolo per tentare di comprendere tramite la grazia e l’armonia perpetuata dalla pittura, la scena culturale vissuta dai nostri predecessori che costituirà poi il punto di partenza per la modernità.
Grazie ai premi accademici indetti nel corso degli anni dall’Accademia di Belle Arti di Bologna, si diffonde in città il linguaggio artistico legato ai temi classici e religiosi che si rifanno ai grandi mastri del Rinascimento.
E nonostante l’istituzione accademica rifiuti ufficialmente le istanze veriste inaugurate dai macchiaioli toscani, le opere esposte trasmettono aria d’apertura ai nuovi temi romantici.
Proseguendo la passeggiata e facendo saltellare lo sguardo da un dipinto all’altro, possiamo notare due diverse, ma ugualmente interessanti, interpretazioni dell’episodio storico: nelle opere dell’artista di maggiore spicco alla metà dell’Ottocento, Alessandro Guardassoni, apprezziamo l’eleganza di derivazione francese; mentre nei quadri della fine del secolo di Luigi Serra, vengono raccontati episodi dai toni veristi.
Incontrando poi la sezione dedicata ai ritratti di questa epoca è inevitabile constatare che essi sono diventati lo specchio della società moderna, in continua e frenetica trasformazione che, lasciando da parte la celebrazione del soggetto, sono ora pronti a trasmettere emozioni e sentimenti.
Quindi arriva il momento di apprezzare i paesaggi, dapprima caratterizzati da visioni idealizzate e legate alla tradizione scenografica. Ma nonostante questo genere di pittura venga risolta a Bologna con metodi originali, rimane comunque come retroscena del pensiero accademico. Da segnalare sono indubbiamente l’approccio rurale delle scene di Antonio Basoli, che raffigura sullo sfondo delle sue opere scorci ben riconoscibili della città, e quello più raffinato di Ottavio Campedelli che si rifà agli esempi di Poussin, Lorrain e Constable traducendoli in un naturalismo più sereno ed imperturbabile.
Ai paesaggi propriamente detti si affiancano quindi le vedute cittadine, con scorci di Bologna che evocano la contemporaneità e la frenesia della vita condotta in città.
Le fondamenta della modernità artistica bolognese sono in mostra presso le sale della Pinacoteca Nazionale di Bologna fino al 27 aprile 2014.

Ingresso gratuito.
Per visite guidate e prenotazione gruppi: Ass. Culturale Dedalo 051 0568900 / 360 980099
Orario: martedì e mercoledì 10.00-16.00 / da giovedì a domenica e festivi 10.00-19.00 / lunedì chiuso

Dove:
Pinacoteca Nazionale di Bologna
Via Belle Arti 56
Telefono: 051 4209411
Sito web: http://www.pinacotecabologna.beniculturali.it

a cura di Elisa Melchiorri

La pittura bolognese al tempo di Vermeer

Agostino, Annibale e Ludovico Carracci, Gli incanti di Medea, affresco del Ciclo di Giasone e Medea nel piano nobile di Palazzo Fava, Bologna. Foto dal sito www.genusbononiae.it 

Agostino, Annibale e Ludovico Carracci, Gli incanti di Medea, affresco del Ciclo di Giasone e Medea nel piano nobile di Palazzo Fava, Bologna. Foto dal sito http://www.genusbononiae.it

In questo periodo a Bologna è diventato ridondante il nome del pittore fiammingo Jan Vermeer, grazie alla tanto acclamata mostra “La ragazza con l’orecchino di perla. Il mito della Golden Age. Da Vermeer a Rembrandt. Capolavori dal Mauritshuis” ospitata proprio tra le mura di palazzo Fava.
In merito a tanto clamore per l’avvenimento dell’anno, mi sono però chiesta in quanti tra le migliaia di visitatori pazientemente in coda per godere dei dipinti olandesi fossero a conoscenza della situazione artistica bolognese dello stesso periodo storico, ovvero della metà del Seicento.
Per comprendere l’importanza dell’arte di questo periodo, il punto di partenza sono le innovazioni pittoriche apportate dai Carracci durante la seconda metà del Cinquecento, le quali contribuirono al recupero della tradizione classica, ora basata e fusa allo studio del disegno dal vero.

Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli, Cappella del Rosario, Bologna, Chiesa di San Domenico. Foto dal sito www.guidobarbi.it

Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli, Cappella del Rosario, Bologna, Chiesa di San Domenico. Foto dal sito http://www.guidobarbi.it

Prendendo ad esempio gli affreschi con le Storie di Giasone eseguiti da loro proprio nella sala grande di palazzo Fava, sede della mostra tanto pubblicizzata, si noterà un dipingere nuovo che non ricalca più gli schemi accademici ma che si basa invece sulla verità visibile: gli oggetti sembrano avvolti dalla luce atmosferica, quella stessa luce che veniva studiata dagli artisti prima della Maniera, e che ora si insinua tra i corpi raffigurati tanto da renderli veri. Quell’impressione convertita alla prima in dipinto che fa sembrare la figura di Medea una bagnante ante litteram di Renoir.
Nel 1595 Annibale Carracci fu chiamato a Roma dal cardinale Odoardo Farnese che gli commissiona la decorazione delle sale del suo palazzo. La capitale fa proprio il nuovo linguaggio carraccesco, tanto che per almeno un quarto di secolo i migliori dipinti romani furono eseguiti da artisti bolognesi.
Quindi si può dire che una sosta a Bologna era d’obbligo per ogni artista che si definisse tale: la Scuola Bolognese si diffuse a dismisura, riscuotendo un successo tale da creare imitatori e seguaci ovunque.

Guido Reni, Gloria di san Domenico, Bologna, Chiesa di San Domenico. Foto dal sito www.interno.gov.it

Guido Reni, Gloria di san Domenico, Bologna, Chiesa di San Domenico. Foto dal sito http://www.interno.gov.it

Il più dotato dei discepoli carracceschi fu senza dubbio Guido Reni, tanto che Cesare Malvasia, grande narratore delle glorie pittoriche bolognesi, riporta un aneddoto in cui Annibale avrebbe suggerito a Ludovico di “…non gl’insegnar tanto a costui, che un giorno ne saprà più di tutti noi…”. Nei suoi dipinti si fanno strada le delizie della fede, la bellezza dei corpi e degli atteggiamenti che rendono gli esseri umani comparabili alla perfezione degli angeli, immersi in una natura lontana dalle asperità della vita quotidiana. La sua arte era tanto apprezzata in città che su richiesta di tutta la popolazione bolognese, egli ricevette l’incarico nel 1613 di dipingere la Gloria di san Domenico che illuminerà il catino absidale della cappella eretta in quegli anni a scrigno delle reliquie del santo.
La sua Pietà dei Mendicanti poi, farà a lungo da modello alle generazioni future di artisti, come scrive lo storico dell’arte Eugenio Riccomini, tanto che il braccio inerme del suo Cristo sembra sia stato ripreso e riproposto da David centosessant’anni dopo nel suo Marat assassinato.
Il Senato cittadino, a seguito della terribile peste che decimò la popolazione bolognese, gli diede nel 1630 l’incarico di dipingere un enorme stendardo di seta di quasi quattro metri d’altezza, dove si raffiguravano la Madonna ed i santi protettori della città a ringraziamento del termine dell’epidemia. Nella pala la sua nuova maniera si allontana sempre di più dal naturalismo di matrice carraccesca per approdare ad una raffigurazione di corpi eterei ed impalpabili, quasi a voler rappresentare la sola bellezza dell’anima.
Questo clima di pacato classicismo permeerà i seguaci del Reni e quindi il fare artistico bolognese per tutto il secolo. Angelo Michele Colonna (1604-1687) con Agostino Mitelli (1609-1660) inaugurano la stagione del quadraturismo bolognese, divenendo i maggiori esponenti della quadratura in Italia. Esordiscono nel 1657 a Bologna con la grandiosa decorazione barocca della cappella del Rosario nella Chiesa di San Domenico, posta proprio di fronte alla cappella dell’Arca affrescata all’inizio del secolo dal Reni. Ed il mutamento di gusto salta agli occhi: da una parte un’immagine solenne di bellissime figure e dall’altra un tripudio di intrecci architettonici e decorativi con annesse finte sculture e rosoni e vasi di fiori.
Il compendio di questo confronto lo troviamo nelle opere di Domenico Maria Canuti: allievo del Reni prima ed ammiratore del fare barocco di Pietro da Cortona poi. L’Apoteosi di Ercole in Olimpo in Palazzo Pepoli risente senza dubbio di più della tradizione romana che bolognese se non fosse per i telamoni che ricordano quelli dipinti dai Carracci per dividere le scene dei loro fregi.
Alla fine del Seicento la pittura si libera sempre più dai dettami didattici e diviene semplice segno di virtuosismo personale. Gli ultimi esponenti del gusto barocco bolognese, dopo l’apprendistato presso il Colonna ed il Canuti, sono Giuseppe ed Antonio Rolli che dipingono con il sorprendente effetto scenografico delle spettacolari decorazioni, tipiche della pittura barocca, l’unica navata della Chiesa di San Paolo Maggiore.

a cura di Elisa Melchiorri

Mostre: Voci di guerra in tempo di pace

Fino al 9 marzo, presso il Museo Civico del Risorgimento di Bologna è possibile visitare la mostra “Voci di guerra in tempo di pace”, che rientra tra le iniziative per il centenario della Grande Guerra.

La mostra è realizzata dal Gruppo Ermada Flavio Vidonis insieme al Gruppo Culturale e Sportivo Ajser 2000 di Trieste, in collaborazione con diversi enti pubblici e privati, tra i quali l’Agenzia Turismo del Friuli Venezia Giulia, che collabora anche alla manifestazione bolognese.

Il Monte Ermada, con le sue tre cime e 323 metri di altezza si trova oggi nella parte nord -occidentale della Provincia di Trieste, nel territorio del Comune di Duino Aurisina, mentre le sue propaggini orientali sono in territorio sloveno. Durante il primo conflitto mondiale il Monte Ermada, allora in territorio austro-ungarico, costituì un insuperabile baluardo contro il quale si infransero senza successo gli sforzi dei soldati italiani. L’esercito austro-ungarico lo aveva infatti trasformato in una munitissima ed agguerrita fortezza, dotata di artiglierie.

Grazie al lavoro infaticabile dei volontari della Società Alpina delle Giulie, a distanza di quasi cent’anni dalla loro creazione, molte delle strutture realizzate allora sono riemerse dalla vegetazione e sono state risistemate. La mostra “Voci di guerra in tempo di pace”, è nata per rendere visibile il risultato di questo lavoro di riqualificazione delle trincee e di raccolta delle testimonianze della Grande Guerra, e si presenta ancora una volta rinnovata ed aggiornata rispetto alle altre edizioni della mostra svoltesi a Milano, Treviso, Monfalcone e diverse altre città. L’edizione di Bologna è stata realizzata in collaborazione con l’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano Comitato di Bologna ed è sostenuta dalla donazione di Jadranka Bentini in ricordo della mamma Vinka Kitarovic.

Attraverso foto d’epoca e testi, l’esposizione ripercorre le vicende vissute in quelle zone durante il conflitto, documentando poi gli attuali lavori di recupero, fino ad un’ipotetica passeggiata sull’Ermada, a rinvenire le tracce di quegli eventi terribili: le “voci di guerra” di cui oggi, in “tempo di pace”, è così importante non perdere la memoria.
Arricchiranno l’esposizione documenti e cimeli originali provenienti dai depositi del Museo e normalmente non visibili al pubblico.
Sarà presente altresì un plastico interattivo dell’Ermada che ricostruisce fedelmente il rilievo topografico del monte, le linee di trincea e i camminamenti italiani ed austro-ungarici, così come si presentavano nel 1917. (http://www.museibologna.it/risorgimento/rassegne/52219/id/59801)

Museo del Risorgimento
Piazza Carducci 5

Orari di apertura
aperto: da martedì a domenica: ore 9-13
chiuso: lunedì e festivi infrasettimanali e dal 16 luglio al 15 settembre 2013 compresi
Come raggiungerci
Il museo si raggiunge dalla Stazione dei treni con l’autobus 32 (fermata Carducci) e dal centro città con gli autobus 25, 27, 14, 18, 19 (fermata Porta Mazzini) e 11 (fermata Fondazza).
Biglietti d’ingresso
Il biglietto consente di visitare il Museo del Risorgimento, Casa Carducci, il Giardino memoriale e le eventuali mostre temporanee.
– intero € 5,00 (visitatori di età compresa tra i 18 e i 65 anni compiuti)
– ridotto € 3,00
ridotto per:
– visitatori >65 anni
– studenti universitari muniti di tesserino
– gruppi di almeno 10 unità
– possessori Family Card e Carta Giovani del Comune di Bologna
– enti e associazioni convenzionati: Alitalia (possessori carta d’imbarco per Bologna), ARCI, City Red Bus, COOP, FAI, Touring Club Italiano, abbonamenti annuali T>PER in corso di validità.

gratuito per:
– visitatori ≤18 anni*
– studenti Scuole Secondarie di II grado
– 2 accompagnatori per gruppo scolastico
– 1 accompagnatore per gruppo di almeno 10 unità
– 1 accompagnatore di minore che partecipa a laboratori programmati dal museo
– guide turistiche munite di tesserino
– giornalisti muniti di tesserino
– portatore di handicap e loro accompagnatori
– soci ICOM
– enti e associazioni convenzionati

*dal compimento del 18° anno ingresso a pagamento

Dove:


 

La città è un museo: Genus Bononiae

Genus BononiaeCos’è Genus Bononiae?
Genus Bononiae è un percorso artistico, culturale e museale che vede coinvolti nove edifici storici della città:

-la Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale, con un patrimonio librario dal 1500 ad oggi;
-San Colombano Collezione Tagliavini, con la collezione degli strumenti musicali antichi del Maestro Luigi Ferdinando Tagliavini;
-la Chiesa di Santa Cristina, sede di concerti;
-Santa Maria della Vita, dove è collocato il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca;
-Palazzo Pepoli Vecchio, museo innovativo dedicato alla storia della città che aprirà nel 2011;
-Palazzo Fava, affrescato dai Carracci, centro interamente destinato ad eventi ed esposizioni;
-Casa Saraceni, sede della Fondazione Carisbo;
-San Michele in Bosco, “balcone” sulla città ricco di opere d’arte.

“Genus Bononiae si presenta come un museo, dove le strade di Bologna sono i corridoi e le stanze sono gli edifici storici” così ha presentato l’opera Fabio Roversi Monaco, presidente della Fondazione Carisbo.

Per chi ama Bologna, per chi ama le sue strade e i suoi palazzi, questa è un’opera imperdibile. Si può visitare poco alla volta, o una “stanza” dietro l’altra. Si può passeggiare e scoprire, esplorare dentro a quegli edifici che rimangono spesso celati ai passanti. Si può sfruttare una giornata di sole, o una giornata di pioggia ed entrare alla scoperta di un’altra e innovativa seppur storica Bologna!

Genus Bononiae la mappa

Per tutte le informazioni:

Homepage

Cosa si può fare a Bologna: vedere una sequoia secolare

Non sarà una sequoia gigante come quelle del Sequoia National Park californiano, ma è maestosa ed una visione insolita a pochi passi dal centro di Bologna. Si tratta della Sequoia che si può ammirare a Parco Melloni, un piccolo parco quasi segreto nascosto tra via Turati, via Breventani e via Melloni. Si accede al parco da quattro ingressi spesso difficili da trovare per chi non li conosce, e questa piccola area verde è curiosa anche per questo. Una volta che avrete trovato l’accesso, potete riposarvi sulle panchine godendovi la vista della sequoia, tra bambini che costruiscono dighe tra le radici degli alberi, anziani che prendono il sole e cagnolini al guinzaglio.

Parco Melloni è un parco che sicuramente andrebbe valorizzato meglio. Era il Parco di Villa Melloni, di proprietà di Vittorio Melloni, colonnello d’aviazione. Ed è ricco di arbusti e piante.
Al confine del parco c’è un sentiero sopraelevato, percorrerlo sarà un po’ come camminare sull’acqua: infatti sotto scorre il torrente Ravone e il percorso ne segue l’andamento.

Un posto per riposarsi e far giocare i bambini.

Dove si trova:

Museo storico della tappezzeria “Vittorio Zironi”

museo-della-tappezzeria

(immagine tratta da: tripadvisor.it)

Presso Villa Spada, si trova il Museo Storico della tappezzeria “Vittorio Zironi”. Il cavaliere Vittorio Zironi, inizia la raccolta dei reperti che oggi si trovano conservati nel museo nel 1946, e nel 1966 viene inaugurata la prima sede in via Barberia. Con l’espandersi della collezione, le stanze in via Barberia divennero troppo piccole, e successivamente l’intera collezione venne trasferita nella sede attuale.
Il Museo ospita oltre 6000 pezzi, tra i quali tessuti italiani, del medio oriente, trine, merletti, ricami e macchinari. Ma non solo, al piano terra c’è una raccolta di francobolli sull’arte tessile emessi da tutti i paesi del mondo, ed è conservata anche una raccolta di fregi di cartapesta dipinta che servivano per adornare le chiese più povere di decorazioni e di affreschi durante le cerimonie dal 1700 circa fino alla metà di questo secolo: oggi purtroppo quest’arte si sta perdendo, sia perché sono ormai pochi quelli in grado di realizzare queste creazioni sia perché l’usanza è venuta meno. Nella Villa è funzionante anche un avanzato Centro di Restauro dei Tessuti Antichi dotato di apparecchiature e mezzi di avanguardia dove vengono restaurati arazzi, tessuti in genere, parietali, tappeti…. Il laboratorio restaura, con studi e catalogazioni, opere di Enti e privati oltre a provvedere al riordino della collezione del museo della Tappezzeria.

La collezione ospita anche molti pezzi unici e di pregio di varie epoche storiche.

Informazioni:
Museo Storico della Tappezzeria “Vittorio Zironi”
c/o Villa Spada, Via di Casaglia 3, 40135 Bologna (BO)

Tel. 051 6145512
Fax 051 3395147

http://www.museotappezzeria.it/

Orari:
Da martedì a domenica 9.00-13.00. Chiuso lunedì, festivi infrasettimanali, agost

Biglietto:
intero € 5.00; ridotto € 3.00 ragazzi tra i 15 e 18 anni, anziani oltre i 60, studenti universitari e gruppi di studenti con accompagnatori. Gratuito per i minori di 14 anni

Struttura accessibile ai disabili

Dove si trova:

Puoi visitare il museo della tappezzeria anche mentre vai a San Luca.

La gipsoteca dell’Accademia delle Belle Arti

Corridoio d’ingresso dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, via Belle Arti, 54. Immagine presa dal sito: http://www.kinodromo.org

Corridoio d’ingresso dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, via Belle Arti, 54. Immagine presa dal sito: http://www.kinodromo.org

Generalmente lo studio storico-artistico tende a privilegiare la storia della pittura a scapito di quella riguardante la scultura. Per questo motivo vorrei raccontarvi l’importanza che ha avuto nei secoli la raccolta di gessi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna ed il prestigio che con essa ha acquisito la città.
Lo storico dell’arte Cesare Malvasia (1616 – 1693) ci racconta che i grandi maestri della pittura del Cinquecento, primo tra tutti Guido Reni, studiarono il corpo umano disegnando ripetutamente le sculture dell’arte classica, attingendo dai calchi in gesso formati dagli originali generalmente eseguiti in marmo. Queste sculture erano disponibili soprattutto nella città di Roma, dove i papi si circondavano di copie di sublimi opere antiche.
Anche a Bologna però, dalla metà del Cinquecento, iniziarono ad essere presenti importanti collezioni d’antichità, come quella del medico e naturalista Ulisse Aldrovandi e del senatore e cavaliere dell’ordine di Santo Stefano Ferdinando Cospi nelle quali si potevano osservare ogni genere di oggetti: minerali, animali, piante essiccate, marmi scolpiti, strumenti, monete e naturalmente calchi in gesso.
Ma bisogna aspettare il Settecento perché sia disponibile al pubblico un numero considerevole di statue antiche a tutto tondo. Luigi Ferdinando Marsili, uomo d’arme e di scienza, fonda agli inizi del Settecento, prendendo a modello l’Accademia reale francese, l’Accademia della Scienze all’interno della quale nasce nel 1710 l’Accademia Clementina luogo deputato all’apprendimento interdisciplinare. In questo ambito era contemplato lo studio dell’arte e del disegno, pertanto si sentì la necessità di acquisire modelli da ritrarre dal vero. Viene compilato un elenco delle opere indispensabili da far giungere tra le pareti dell’Accademia: l’Ercole Farnese che era uno dei pezzi prediletti da Annibale Carracci, il Laoconte senza i puttini, il Gladiatore, il torso del Belvedere, la Venere de’ Medici, tanto per citarne alcuni. E Prospero Lambertini, il futuro Papa Benedetto XIV, diede un decisivo impulso alla crescita culturale della sua città natale.
Fu così che Bologna diventò tappa fondamentale del Grand Tour per tutti i giovani aristocratici europei che, dal XVII secolo in poi, volevano accrescere e perfezionare il loro sapere.
Tra la seconda metà del Settecento e gli inizi dell’Ottocento la gipsoteca incrementò notevolmente la sua collezione, con l’acquisizione di opere rinascimentali ed antiche.
Nel 1805 iniziano a giungere tra le pareti felsinee i calchi dei bassorilievi della colonna Traiana e copie di alcune opere conservate al museo Pio-Clementino di Roma, tra i quali l’Apollo del Belvedere, l’Antinoo, la Cleopatra, grazie all’intervento di personalità importanti come il massimo esponente della scultura neoclassica Antonio Canova.
Dal 1803 al 1811 la collezione si triplicò e giunsero anche due nuove statue dello stesso Canova donate dal fratello dell’artista: la Concordia e il grande Cavallo.
Con l’unità d’Italia e la riorganizzazione dell’istruzione artistica, i gessi vengono utilizzati per lo studio dell’archeologia in qualità di documenti delle fasi artistiche dell’antica Grecia.
Agli inizi del Novecento arrivano, grazie al Ministero della Pubblica Istruzione, calchi di parti architettoniche dell’Acropoli di Atene destinati agli studenti di architettura ed elementi decorativi.
Poi il lento declino dei gessi, causato dall’usura dovuta a fini di studio e all’incuria, dura fino agli anni Novanta del Novecento, quando prende il via un programma di studio, restauro e valorizzazione dei distinti nuclei di statue acquisite nel corso dei secoli, e che ancora oggi vedono impegnati studenti e professori della Scuola di Restauro dei Materiali Lapidei, che ha sede ed opera in silenzio proprio tra le mura dell’Accademia bolognese.

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